Intelligenza artificiale e internazionalizzazione delle imprese: un nuovo paradigma emergente

Venerdì 22 Settembre si è svolto a Brescia, presso il Museo Mille Miglia, l’evento: “PERSONE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, IL NUOVO MODELLO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE”.

I protagonisti dell’evento, moderati da me, Damiano Santini, sono stati:

  • Stefano Retrosi, Regional Manager Sales PMI di SACE
  • Andrea Cantiello, Responsabile Settore Estero di Banca Valsabbina
  • Micol Vezzoli, Co-fondatore di TEM PLUS
  • Andrea Gilberti, President & CEO di Matchplat
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Nel corso dell’evento si è discusso di strumenti finanziari e di business intelligence a supporto del management, prettamente sotto l’aspetto tecnico, ma non sono mancati momenti di confronto sul ruolo delle persone e sui lavori “del futuro”.

L’evoluzione dell’intelligenza artificiale e il suo impatto sulla gestione aziendale

Qualche anno fa ho iniziato a interessarmi all’intelligenza artificiale, e solo recentemente a discuterne – ad esempio in questo articolo – ed avverto sia sempre più necessario porre l’attenzione sul rapporto “uomo-macchina”, soprattutto in merito alla gestione e organizzazione aziendale, mio ambito di studio e di professione.

È certo che il progresso tecnologico dettato dell’intelligenza artificiale non si fermerà.

In virtù di ciò, nel contesto aziendale, si renderà presto necessario gestire questa nuova “applicazione” che sarà trasversale a tutte le funzioni aziendali.

Equilibrio tra l’apprendimento tecnico e l’innovazione organizzativa

In considerazione di questa necessità, desidero condividere le riflessioni che sono emerse nella mia mente quando mi sono imbattuto in questa questa frase:

“L’intelligenza artificiale non ti ruberà il lavoro, lo farà il tuo vicino di banco se imparerà ad usarla prima di te”.

Senza dubbio il significato razionale e veritiero di questa frase è molto chiaro, ma non considera alcune “minacce” che questo comporta, come ad esempio l’ipercompetitività.

Il rischio che l’apprendimento tecnico debba procedere sempre più velocemente per rimanere al passo con i tempi (e per evitare di perdere il lavoro) altera il concetto stesso di apprendimento e comporta tre errori:

  • Imparare nozioni e aspetti tecnici della gestione senza approfittare dell’opportunità formativa come un’occasione di lavoro di squadra e di innovazione con altre persone:
  • Sfidare direttamente l’apprendimento tecnico delle macchine, una battaglia che non potremo mai vincere;
  • Nel medio e lungo periodo, l’ipercompetizione nel campo economico non si dimostra una strategia efficace (si veda: John Nash, Premio Nobel per l’economia 1994).

Ciò che sto dicendo non implica assolutamente l’abbandono dell’apprendimento tecnico, ma piuttosto la consapevolezza delle sfide che possono sorgere quando ci si focalizza eccessivamente sulla tecnica, e soprattutto l’importanza di sviluppare competenze in altri settori all’interno di un’organizzazione.

Competenze umane e coscienza: la chiave per una gestione aziendale futuristica

Ritengo sempre più cruciale adottare una nuova filosofia di gestione aziendale che attribuisca maggior importanza agli elementi umani, come le emozioni, i sentimenti e la psicologia.

Questi restano componenti essenziali nei processi decisionali di elevata qualità e diventeranno sempre più rilevanti all’interno delle aziende.

L’evoluzione tecnologica e organizzativa renderà sempre più indispensabile l’integrazione di una componente psicologica robusta all’interno della cultura aziendale.

Le competenze umane saranno la chiave per una migliore gestione aziendale del futuro, poiché saranno contraddistinte dalla coscienza, che rappresenta la vera discriminante tra intelligenza umana e artificiale.

In conclusione, la coscienza matura grazie all’esperienza, al vissuto e alle sensazioni che la vita ci fa provare, consentendo a simboli, idee, processi, clienti, prodotti, e così via, di acquisire significati differenti.

Basti riflettere sull’esempio della mela, come illustrato dal fisico Federico Faggin:

“Vedo una mela su un albero; non è solo un simbolo: ne pregusto il sapore che ricordo, penso alla mela di Adamo, provo gioia perché la mela mi piace. Il cervello riconosce il simbolo-mela come un computer, ma è l’esperienza soggettiva gustando la mela che ci rende umani”.

Damiano Santini

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